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Festa di S.Giovanni Battista: ricordi

La festa di S. Giovanni Battista: ricordi

Domani si celebrerà, a Granieri, la festa in onore di San Giovanni Battista. Nascono in testa i ricordi di quella che era la festa, che rappresentava il momento di solennità della piccola comunità, occasione per mettersi in mostra con i paesi vicini e una sfida sotterranea con la vicina Mazzarrone.

Dalle semplici manifestazioni, cariche di umanità, che ho appreso dai racconti delle persone più grandi e da qualche sparuta immagine che ho avuto la fortuna di vedere, la festa si è evoluta nel corso dei decenni, si è arricchita di manifestazioni e dilatata nel tempo. I miei personali ricordi risalgono agli anni settanta, quando ancora la festa aveva la durata di due giorni: il pomeriggio della vigilia dedicato ad alcuni giochi popolari (pignati, corse con i sacchi, albero della cuccagna) e il giorno della festa.

Le manifestazioni esterne si svolgevano generalmente in piazza Silvestri. Il signor Velardita, titolare dell’unico bar di Granieri, sistemava in piazza tavoli e sedie in cui si poteva gustare un buon gelato artigianale, oltre alle bibite.

La festa aveva inizio con i prpeparativi, che vedevano impegnate numerose persone per l’allestimento delle cose più disparate. Il comitato, che qui diventava la commissione, era presieduta dal parroco e composta, liberamente, da tutti coloro che ne volevano far parte. “A tutti gli uomini di buona volontà” come annunciava con il megafono il parroco per la convocazione delle riunioni.

Nella commissione c’era sempre qualcuno che voleva avere più potere decisionale degli altri, cosa che nel tempo causò numerosi malumori e che portarono, nel tempo, ad un quasi totale abbandono.

La settimana che precedeva la festa era tutta un lavorìo, che vedeva impegnati giovani, adulti e numerosi ragazzi, per i quali questi momenti divenivano accasione per sentirsi e rendersi utili alla comunità.

Si cominciava con il collocare le bandierine multicolori in tutte le strade del borgo, un filo in corrispondenza di ogni palo della luce (all’epoca c’erano quelli in cemento). Assieme alle bandierine veniva sistemato un filo con portalampade (circa una ventina) su cui, prima di appenderli, venivano avvitate le lampade. Per noi ragazzi il compito era di trasportare gli scatoloni con le bandierine, i fili delle lampade e le lampade stesse dalla sacrestia per tutte le strade del paese.

I fili elettrici per le lampade venivano, prima di appenderli, controllati verificando i contatti, quindi si avvitavano le lampade, si faceva la prova di accensione e infine si appendevano. L’energia elettrica, per l’accensione, era a carico della famiglia che in corrispondenza aveva sistemato il filo. Si poteva così assistere ad un’accensione non sempre contemporanea. Ma per la famiglia era un onore poter offrire l’energia elettrica e nessuno si rifiutava.

Le strade dovevano essere tutte pavesate a festa e illuminate, anche laddove non passava la processione (per la verità solo la via della Pieve).

Altro compito prevedeva la sistemazione di drappi all’interno della chiesa, in corrispondenza di ciascun pilastro. Per sistemare questi drappi, una persona saliva fin sul cornicione che correva per tutta la parete della chiesa, e con molta abilità sistemava i drappi. Io guardavo con un po’ di paura quell’uomo che camminava sul cornicione, convinto che, da un momento all’altro, dovesse venire giu.

Per poter salire, il parroco aveva dotato la chiesa di scale sovrapposte che consentivano di raggiungere il cornicione, posto a circa 8-10 metri dal pavimento.

Uno, due giorni prima della festa, donne e ragazzi provvedavano alla pulizia della chiesa mediante spazzatura e lavaggio del pavimento, dei banchi, sistemazione delle piante. Il fervore era tanto e coinvolgeva tante persone.

Altro impegno era costituito dal montaggio del palchetto per la cena – vendita all’asta di doni dei fedeli- che era formato da elementi metallici di sostegno e tavoloni per il piano di calpestio. Veniva infine addobbato con festoni fatti di palme e rami di quercia. Il palco veniva montato in piazza Silvestri, alla sinistra dell’arco di accesso alla masseria.

Compito dei ragazzi, qualche giorno prima era l’affissione dei manifesti con il programma. Armati di scopa e di colla fatta con acqua e farina si attaccavano in maniera non sempre perfetta perché i muri non lo consentivano. Ma c’erano anche coloro che, a ragione, non volevano affatto sporcato il prospetto della propria casa.

La festa si faceva con le offerte degli abitanti. La questua vedeva impegnati per più pomeriggi un gruppo di persone della commissione a fare il giro casa per casa per raccogliere le offerte, che venivano segnate tutte in appositi fogli. Ad ogni offerta si consegnava un’immaginetta con l’effigie del santo. Non sempre si trovavano le persone, per cui bisognava rifare il passaggio.

La questua si faceva anche a Mazzarrone, all’epoca frazione di Caltagirone. Era un’usanza che risaliva al comune status di frazione e ai comuni interessi agricoli degli abitanti. All’epoca Mazzarrone era compposta da diverse borgate, separate fisicamente tra loro da aperta campagna: Botteghelle, Cucchi, Piano Chiesa.

Un gruppo di volenterosi faceva il giro per quasi tutte le strade delle borgate per la questua: si andava da offerte generose a neanche una lira. Alcune persone rispondevano anche malamente e rifiutavano qualsiasi offerta. Un solo anno ho avuto il piacere di fare quest’esperienza e ricordo ancora chi dava appena 50 lire (anno 1979).

Quelli di Mazzarrone, di contro, ricambiavano la visita a settembre, in quanto festeggiavano S. Giuseppe in quel mese.

 

Quand’ero piccolo ricordo che non c’era spettacolo musicale con il cantante o il complesso, ma c’era l’esibizione della banda musicale in piazza che eseguiva marce e brani di musica classica.

 

Il giorno della festa aveva inizio alle ore 8,00 con scampanìo e sparo di mortaretti. Nel frattempo arrivava la banda musicale, a volte da Caltagirone altre volte da Acate, e cominciava il giro per le vie del borgo eseguendo le tipiche marce. La banda suonava diverse volte durante la mattinata. Alle 11,00 c’era la messa con panegirico del santo, a cui partecipava buona parte del paese. Alla fine della messa, esecuzione di brani in piazza e sparo di mortaretti.

Ognuno di corsa a casa dove si era preparato il pranzo della festa e dove, spesso, si avevano ospiti i parenti che abitavano in altri paesi.

Il pomeriggio era dedicato ad attività ricreative e sportive, dai giochi che impegnavano i ragazzi a partite di calcio. Per diversi anni si tenne una gara podistica su strada con la partecipazione di atleti dei centri vicini. Ricordo che molte edizioni furono vinte dal prof. Sabatino, docente di educazione fisica a Caltagirone e allenatore della squadra di pallavolo femminile Libertas.

Altre volte fu organizzata un gimkana con motori. Anche le partite di calcio tra squadre di Granieri e Mazzarrone furono numerose.

Alle 17,00 aveva inizio la cena in piazza Silvestri. Le persone portavano diversi doni: ortaggi, conigli, angurie, dolci, torte e altro. Il signor Garretto (‘u massa Titta) era l’imbonitore con il campanellino e il megafono. Il ricavato della vendita all’asta era impiegato per le spese della festa.

La processione aveva inizio all’imbrunire. All’uscita della statua del santo (‘a vara) avveniva lo sparo di mortaretti, di girandole multicolori e sfavillio di biglietti inneggianti al patrono. Portato rigorosamente a spalla per tutto il tragitto, cominciava il giro per tutte le vie del paese compreso il buio cortile della masseria, in cui si omaggiava la piccola cappella, sede primigenia della parrocchia, che per l’occasione veniva aperta, ripulita e addobbata a festa.

La processione, al suono della banda e della recita di preghiere, attraversava le diverse vie del paese seguita da un folto numero di persone. La processione non avanzava in maniera continua ma era spesso interrotta dalle persone che facevano offerte in denaro, con le banconote che venivano appuntate con spille su nastri rossi fissati alla “vara”. Ogni tanto lo sparo di qualche botto. Ritornata in piazza, prima dell’ingresso della statua in chiesa, si poteva assistere ad un altro sparo di mortaretti e fuochi fatti con le girandole. Al grido di “Viva San Giuvaaanni!!!”, i portatori facevano rientrare in chiesa la statua del santo.

Quando ancora non vi era l’esibizione del gruppo musicale, la serata veniva allietata dalla banda musicale che, in piazza Silvestri eseguiva brani dal repertorio delle musiche per banda.

A mezzanotte, anticipata dal resoconto dettagliato e minuzioso di ogni singola spesa e incasso, che faceva il parroco, la conclusione con lo sparo dei fuochi d’artificio, “re bummi”. Si concludeva, con una forte sensazione di malinconia LA FESTA che rallegrava ed animava la piccola comunità di Granieri e con la consapevolezza che bisognava aspettare un altro anno per rivivere i giorni di festa.

 

28.08.2012

Rosario Vizzini